Non solo i sindacati, anche la politica riporta d’attualità il tema del futuro della zona industriale di Siracusa. Il polo petrolchimico vive in costante tribolazione, sospeso tra transizione energetica ed ecologica, sostenibilità ambientale, tutela della salute, rilancio dell’occupazione, riqualificazione dei lavoratori, bonifica e riconversione industriale. Una situazione che spinge il senatore Antonio Nicita (Pd) a parlare di “ultima chiamata per costruire una strategia lungimirante” per non condannare ad un lenta agonia la locomotiva dell’economia siracusana. “Il quadro peggiore è quello di una crisi industriale, occupazionale e ambientale senza precedenti e senza soluzioni: una povertà economica, ambientale e della salute destinata ad alimentarsi e ad aggravarsi nel tempo”.
Ecco perchè ha preso carta e penna per chiedere al ministro delle Imprese, Adolfo Urso, un incontro urgente per affrontare le troppe questioni rimaste aperte, nonostante rassicurazioni e interventi. A partire, ad esempio, dalle incertezze attorno al depuratore Ias (con l’idea dissalatore, ndr) per arrivare all’assenza di investimenti pubblici strategici per il polo. “Stupisce che il PNRR, anche nella settima nuova missione RePower EU, non preveda ad oggi investimenti strategici in transizione ecologica, riconversione e rilancio di grande respiro, ad esempio nel solco della pur più volte enunciata Hydrogen Valley siciliana”, annota il senatore siracusano. Eppure, prosegue, “costituiscono un’occasione formidabile per porre le basi per quella promessa della Sicilia come Hub energetico europeo e per assumere un ruolo strategico nell’area mediterranea”.
Sarebbe un autogol clamoroso, nell’ambito delle politiche energetiche del nostro Paese, rischiare di perdere il know-how dell’area industriale siracusana e la sua capacità di produzione basata su di “un sistema infrastrutturato e interdipendente” e “con competenze particolarmente idonee allo sviluppo di un polo mediterraneo dell’idrogeno collegato con altri siti strategici siciliani (Termini Imerese e Gela)”. Quella che manca, sottolinea Nicita, è “una linea strategica complessiva che possa indicarci la strada per una profonda trasformazione di attività hard to abate destinate a esaurirsi nel medio periodo, nel quadro della compliance europea. Per questa ragione riteniamo necessario un confronto ampio e profondo che indichi nuovi percorsi strategici di innovazione sostenibile e di rilancio occupazionale e individui, nel combinato disposto di PNRR e FSC, le risorse pubbliche da affiancare all’iniziativa privata, anche tenendo conto del ruolo propulsivo che può svolgere l’infrastrutturazione dell’Autorità di sistema portuale della Sicilia Orientale e che può avere proprio nel campo dell’energia sostenibile il suo punto focale”. Parole che valgono come indicazione degli obiettivi rimasti, sin qui, fuori dai radar del governo.
Il primo, delicato nodo da sciogliere – vero tema per l’oggi e per il futuro – è quello relativo alla depurazione dei reflui industriali e della stessa sopravvivenza di Ias. Il senatore Pd è pronto a chiedere nuovi investimenti “adeguati e credibili” in Ias (“anche con un nuovo DPCM”, ndr), superando così i rilievi sollevati dalla magistratura e dalla Corte Costituzionale. Nicita ritiene che affidare ai privati la soluzione del problema, attraverso la realizzazione di impianti di depurazione interni alle stesse aziende industriali, moltiplicherebbe anzichè risolvere i problemi, specie in fase di verifica e controllo. Ecco perchè si dice convinto della necessità di un rilancio del depuratore consortile esistente, magari con un’azione “di complementarietà tra investimenti in depurazione a monte ove realizzati da parte dei privati (in questo caso limitati al pre-trattamento e alle esalazioni inquinanti) e depurazione a valle (da parte di IAS), anche al fine di economizzare e dare certezza all’attività di controllo dei reflui in mare in un unico presidio pubblico”. Altrimenti, serve subito un piano B per assicurare la sopravvivenza del gigante Ias. E la depurazione civile oggi non offre quelle garanzie di sostenibilità che sarebbero invece richieste.
In una regione che ha scoperto di soffrire la sete, come la Sicilia, quella struttura accanto al mare potrebbe allora assumere un nuovo ruolo: “il trattamento delle acque marine ai fini della desalinizzazione per usi idrici (industriali e non)”. Peraltro, come sottolinea il senatore siracusano, sarebbe anche “un passo intermedio per la produzione prospettica di idrogeno, all’interno di una nuova filiera energetica”.