"Mafia nel siracusano attiva e pervasiva", la relazione dell'Antimafia regionale in Prefettura

La mafia in provincia di Siracusa è tornata a lanciare i segnali della sua pervasiva presenza. Claudio Fava, presidente della Commissione regionale Antimafia, è stato chiaro oggi nella sua analisi, al termine delle audizioni in prefettura. Ne ha discusso con il prefetto Giuseppe Castaldo, con il Questore, Gabriella Ioppolo, con il comandante provinciale dei Carabinieri, Luigi Grasso, il comandante provinciale della Guardia di Finanza, Antonino Spampinato, il dirigente Dia Renato Panvino e il Procuratore capo di Siracusa, Francesco Paolo Giordano. Tra i temi affrontati anche il cosiddetto Sistema Siracusa e quello che Fava ha descritto come un processo corruttivo arrivato fino a Palazzo di Giustizia, tra inchieste e veleni.
“La vigilanza resta massima e può essere rafforzata da una ancora più stretta collaborazione tra istituzioni, forze dell’ordine e prefettura”, ha anche detto Fava dopo un excursus sulla situazione malavitosa nel siracusano. Dal recente caso di Pachino con il clan Giuliano, passando per Avola e al gruppo dei Crapula e quella contiguità con le famiglie catanesi forte nel nord della provincia come a sud.




Fiera del Sud: i 2,8 mln di euro che il Comune ora conta di riavere

Il sequestro del centro commerciale Fiera del Sud dimostra l’esistenza di debiti della galassia di società del Gruppo Frontino verso diversi soggetti. E tra questi anche il Comune di Siracusa, che conta di rientrare in possesso di quei 2,8 milioni di euro pagati come anticipo di quel risarcimento milionario che è poi stato corretto e riscritto dallo stesso Cga. Esiste anche un decreto ingiuntivo del Tribunale di Siracusa dello scorso mese di giugno. La possibilità che l’ente pubblico possa riavere indietro quella somma è adesso “concreta”. Lo dice il commercialista Francesco Licini che ha affiancato Legambiente nella lunga vicenda processuale sul già citato risarcimento. “Il sequestro dei beni lo avevamo chiesto in tutti i modi possibili”, racconta al telefono su Fm Italia ed Fm Italia Tv. “I magistrati sono riusciti a risalire adesso ai vertici piramidali di quelle società fino ad arrivare ad un trust in Svizzera. Si potrebbe ipotizzare che anche i soldi versati dal Comune siano transitati da quelle parti. Di certo non sono serviti per pagare creditori e dipendenti visto che la Guardia di Finanza dice che molti attendono ancora i pagamenti del dovuto”.
Ma il Comune di Siracusa non mira solo a rientrare in possesso di quella somma. Poco tempo fà, infatti, l’ente si è costituito parte civile a Messina nell’inchiesta sul cosiddetto Sistema Siracusa. E pronta è la richiesta risarcitoria per i danni di immagine e materiali subiti dalla città, finita a più riprese sui media nazionali in maniera poco edificante per vicende che le indagini delle Procure di Messina, Roma e Siracusa stanno in gran parte riscrivendo.
Di seguito l’intervista con Francesco Licini da Doppio Espresso, Fm Italia.




L'arroganza della mafia alla luce del sole: "a Pachino tutti sapevano, poche denunce"

Il controllo mafioso sul mercato ortofrutticolo di Pachino, dalla produzione alla vendita, era in mano alla mafia. L’operazione Araba Fenice della Polizia di Stato ha sgominato quello che secondo gli investigatori era un sodalizio ben radicato e operativo, capace di tenere sotto scacco un filone vitale per la zona sud del siracusano. Un “peso” per l’economia sana, zavorrata dalle imposizioni malavitose e chi non ci stava rischiava grosso. Il magazzino dell’azienda Fortunato è stato, ad esempio, distrutto da un incendio.
“L’arroganza mafiosa è incredibile, quasi alla luce del sole. Il discorso del 3% da pagare sul prodotto era sulla bocca di tutti ma pochi denunciavano. Posso dire però, senza dare dettagli, che abbiamo collaborato”, racconta Paolo Caligiore, coordinatore provinciale della Federazione Antiracket. “A Pachino ci siamo mossi. Non c’è stata omertà anche se le denunce non sono state tante. Se avessero denunciato in tanti, si sarebbero accorciati i tempi delle indagini, serie e scrupolose. In fondo a Pachino tutti sapevano, i personaggi erano quanto meno chiacchierati”, aggiunge Caligiore per nulla sorpreso da quanto venuto a galla. “Aspettavamo un’operazione come quella di ieri. La comunità pachinese deve capire che una volta liberata dal giogo mafioso il beneficio è per tutti. Non si può sottostare al ricatto malavitoso. Se noi facciamo i deboli, come cittadini e imprenditori, rafforziamo il sistema criminale. E’ una bella giornata per Pachino, speriamo il messaggio arrivi chiaro alla gente. Queste persone si possono denunciare. Lo ripeto, con la denuncia ci si libera. Basta aver pazienza e confidare nelle forze dell’ordine che sanno fare il loro lavoro. E lo fanno con indagini che raccolgono elementi tali da reggere ad ogni processo”.




Quando il boss Giuliano minacciava di uccidere il giornalista Borrometi

Salvatore Giuliano, capomafia di Pachino, da ieri in carcere insieme ad altre 18 persone, era balzato agli onori delle cronache nazionali lo scorso aprile. Intercettato dalla polizia, lasciava trasparire la volontà di “organizzare un’eclatante azione omicidiaria” per togliere di mezzo “lo scomodo giornalista” Paolo Borrometi che con le sue inchieste aveva svelato affari e interessi del gruppo di Giuliano. Il piano prevedeva la complicità del potente clan Cappello di Catania. In conversazioni ascoltate dalla polizia, i “pachinesi” lasciano poco alla fantasia: “scendono una decina, una cinquina, cinque, sei catanesi, macchine rubate, una casa in campagna, uno qua, uno qua… la sera appena si fanno trovare, escono… dobbiamo colpire a quello, bum, a terra! E qua c’è un iocufocu (fuochi d’artificio, ndr)! Come c’era negli anni 90, in cui non si poteva camminare neanche a piedi… Ogni tanto un murticeddu vedi che serve, c’è bisogno”. Una vicenda per la quale Giuliano è stato rinviato a giudizio.
“Loro oggi sono in carcere. Loro che volevano farmi saltare in aria con un’autobomba, che volevano ammazzarmi, che sono a processo per minacce di morte aggravata dal metodo mafioso nei miei confronti; loro che hanno tentato in ogni modo di delegittimarmi, per poi farmi fuori; loro che hanno reso una intera comunità nella paura più pressante. Ci ho sperato e creduto sin dal primo momento, quando anni fa ho iniziato a scrivere su Pachino”, esulta sulla sua pagina facebook il giornalista Paolo Borrometi. “Il ringraziamento più sentito alla Procura di Catania, ai Magistrati che in silenzio lavorano per liberare il territorio, alla Polizia, Mobile di Siracusa e Commissariato di Pachino. Grazie a voi che avete reso possibile la liberazione di un territorio soffocato”.




Amara, Mineo e quei 300mila euro: Denis Verdini indagato dalla Procura di Messina

L’ex senatore Denis Verdini ha ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Messina. E’ indagato con l’accusa di illecito finanziamento ai partiti nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto (per corruzione, ndr) dell’ex giudice del Cga di Palermo, Giuseppe Mineo. In mezzo c’è ancora il cosiddetto Sistema Siracusa. Verdini, infatti, attraverso una serie di passaggi societari, avrebbe ricevuto a titolo di finanziamento del gruppo politico di cui era coordinatore, circa 300mila euro dall’avvocato Piero Amara. La somma sarebbe servita a indurre Verdini a sostenere la designazione di Mineo al Consiglio di Stato.




Fiaccolata per i cinque cani arsi vivi, "venite con il volto imbrunito da carbone"

“La vicenda straziante dei cani arsi vivi in seguito ad un incendio in un terreno privato in contrada Frescura, non può restare impunita. Il Comune di Siracusa perseguirà ogni strada, anche giudiziaria, per fare emergere le responsabilità”, spiegava il sindaco di Siracusa, Francesco Italia, poche ore addietro. La giunta è pronta a dare il via alla costituzione di parte civile nell’eventuale procedimento che dovesse scaturire dalle indagini.
Intanto, le associazioni animaliste siracusane hanno deciso di dare vita il 2 agosto ad una fiaccolata per ricordare “le anime innocenti arse vive senza alcuna possibilità di salvezza”. In quel rogo perirono 5 cani, legati ad una catena e per questo senza via di scampo. A promuovere la manifestazione sono Animalisti italiani Onlus, Attivisti nel Cuore Italia, Confederazione Associazioni Animaliste Regione Sicilia, Earth, Enpa e Lida.
Il corteo prevede concentramento alle 19 dal Tempio di Apollo. Poi in processione lungo corso Matteotti per arrivare in piazza Archimede e ridiscendere in Largo XXV Luglio dove verrà osservato un minuto di silenzio. “Venite con il volto imbrunito dal carbone”, l’invito delle associazioni che promuovono l’iniziativa.

foto dal web




"Archia" e "Fiera del Sud", le due operazioni della Guardia di Finanza sul gruppo Frontino

La Guardia di Finanza parla di “imponente operazione” nei confronti del Gruppo Frontino. Due distinti provvedimenti disposti dal gip del Tribunale di Siracusa, su richiesta della Procura che ha coordinato le indagini, hanno permesso ai finanzieri di Palermo e Siracusa di portato a compimento due importanti operazioni di polizia economico-finanziaria con al centro gli interessi imprenditoriali del Gruppo Frontino, “gravitanti intorno al centro Commerciale Fiera del Sud”, spiegano gli investigatori. Si tratta delle operazioni “Archia” e “Fiera del Sud”.
Con la prima, le Fiamme Gialle del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo hanno eseguito un decreto di misure cautelari nei confronti di Davide Venezia, Alfredo Sapienza e Rosa Gibilisco, indagati per bancarotta fraudolenta e frode fiscale nella costruzione del centro commerciale “Fiera del Sud” di Siracusa. Una quarta misura cautelare è in corso di esecuzione.
L’attività, iniziata nel 2016, ha tratto origine da una delega rilasciata alla Guardia di Finanza palermitana dalla Procura della Repubblica di Siracusa tesa a delineare le vicende economico-finanziarie di numerose imprese avvicendatisi nella costruzione del centro commerciale a seguito della quale i finanzieri del I Gruppo Tutela Entrate hanno svolto complesse indagini con l’esame di migliaia di documenti cartacei e digitali, l’audizione di testimoni e l’esecuzione di indagini finanziarie, che hanno svelato vorticosi passaggi di denaro tra persone fisiche e giuridiche. Quanto alla bancarotta, appurato che gli amministratori di diritto succedutesi nel tempo e quello di fatto della Codaf S.r.l. avrebbero distratto somme per oltre 250.000 euro, eseguendo pagamenti non giustificati in favore di alcune imprese ed esponevano nel bilancio fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, celando maggiori perdite per quasi 3,5 milioni di euro. Peraltro, celavano le scritture contabili della società, in modo da rendere impossibile la completa ricostruzione del patrimonio e degli affari. In aggiunta, avrebbero aggravato il dissesto della Attività Edilizie S.r.l. astenendosi dal richiedere il fallimento quando già era emersa una situazione di dissesto irreversibile. Con riguardo ai reati fiscali, è stato appurato che la RGD S.r.l. ha evaso le imposte per circa 250.000 euro e che alcune persone coinvolte dalle indagini avevano compiuto atti fraudolenti sui beni della Emmea S.r.l. al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, rendendo inefficace la procedura di riscossione coattiva, non versavano l’iva per oltre 500.000 euro e conferivano simulatamente nel trust “Quantias Superuisorem”, avente trustee un trust di diritto elvetico a sua volta partecipato da una fiduciaria sempre elvetica, le quote del capitale sociale di alcune società che a loro volta, a cascata, detengono i capitali sociali di svariate imprese tutte riconducibili alla medesima famiglia.
A seguito di ciò, in un primo momento, sono stati eseguiti sequestri di disponibilità liquide, beni immobili e quote societarie, tra le quali il capitale sociale, pari a 2.000.000 di euro, della società proprietaria del menzionato centro commerciale il cui valore è stato stimato in circa 29 milioni di euro. I vincoli cautelari venivano successivamente confermati in toto dal Tribunale del Riesame di Siracusa a seguito dei ricorsi presentati.
A conclusione delle attività odierne, i finanzieri del Nucleo P.E.F. di Palermo, coadiuvati da quelli della Compagnia di Augusta, sul totale di sette persone indagate, hanno eseguito quattro arresti, nonché sequestrato le quote di uno sham trust di diritto italiano avente trustee un trust di diritto elvetico a sua volta partecipato da una fiduciaria sempre elvetica, quote societarie e disponibilità finanziarie a fronte dell’emissione del provvedimento di sequestro per oltre mezzo milione di euro emesso dal gip di Siracusa.
L’operazione “Fiera del Sud” riguarda le vicende relative alla costruzione ed apertura del Centro commerciale omonimo, originariamente di proprietà della società Open Land S.r.l., successivamente per cessione di ramo d’azienda della Emmea S.r.l. ed infine di altra azienda riconducibile alla famiglia Frontino. Risultano indagate, in concorso tra loro, per il reato di truffa 10 persone fisiche individuate quali amministratori di fatto e di diritto ovvero procuratori di società facenti parte del “Gruppo Frontino”: le sorelle Concetta e Daniela Frontino, Maria Cimino, Rosa Gibilisco, Alfredo Sapienza, Davide Venezia, Oumar Aidara, Adama Zombo, Graziano Del Greco e Salvatore Noto. Agli odierni indagati si contestano una serie di condotte fraudolente qualificate come “truffe
contrattuali”, finalizzate a consentire al Gruppo imprenditoriale Frontino di edificare il Centro Commerciale “Fiera del Sud” eludendo fraudolentemente i debiti contratti nei confronti dei subappaltatori che avevano realizzato le diverse opere infrastrutturali. Questi ultimi, creditori di notevoli cifre di denaro corrisposte solo in minima parte dalla società appaltatrice, sarebbero stati indotti a proseguire e ultimare i lavori in subappalto, confidando sulle rassicurazioni e nelle artificiose rappresentazioni fornite loro dagli amministratori di fatto e di diritto del gruppo imprenditoriale Frontino.
Le evidenze d’indagine hanno consentito di delineare uno scenario delittuoso il cui risultato finale seguito dalle società del gruppo Frontino era quello di pervenire alla costruzione e all’apertura del centro commerciale sostenendo costi minimi, non onorando sostanzialmente i debiti verso terzi, e neutralizzando preventivamente la possibile azione giudiziaria dei terzi mediante l’intervento, quali cessionari dei contratti, di scatole societarie incapienti, in modo da frustrare ogni effettiva possibilità di recupero del credito vantato nei confronti delle società del gruppo Frontino.
Pertanto, il complesso edilizio dove insiste il centro commerciale “Fiera del Sud” si qualifica come “prodotto” delle molteplici condotte integranti ipotesi di “truffa contrattuale” perpetrate in danno dei subappaltatori che hanno proceduto alle opere, considerando pertanto il manufatto realizzato, quanto meno nella sua maggior parte, il “prodotto” di tali condotte. L’immobile sequestrato è stato affidato in giudiziale custodia ad un amministratore giudiziario appositamente nominato dalla Procura.




"Araba Fenice". Le mani della mafia su Pachino, arrestato il boss Giuliano e altre 18 persone. Anche un poliziotto

Tra i 19 arrestati nell’operazione Araba Fenice spicca il nome di Salvatore Giuliano, ritenuto esponente di spicco dalla mafia pachinese e recentemente finito in altre vicende di cronaca per le minacce di morte al giornalista Paolo Borrometi che ne aveva denunciato attività ed interessi poco chiari. Con lui arrestato stamani anche il figlio Gabriele, 33 anni. Ma coinvolto nel blitz c’è anche Lorenzo Agatino Nunzio Scalisi, assistente capo della Polizia di di Pachino.
Nell’elenco ci sono anche Rosario Agosta (45 anni); Claudio, Giovanni e Giuseppe Aprile; Antonio e Sergio Arangio; Salvatore Bosco, Massimo Caccamo detto “u rossu”, Antonino Cannarella, Salvatore Cannavò detto “Giovanni Cicala”, “u barberi” Giuseppe Crispino, Giuseppe Di Salvo, Vincenzo Gugliotta, Massimiliano Salvatore Salvo, “u marcuottu” Giuseppe Vizzini e Simone Vizzini.
Le indagini svolte dalla Squadra Mobile di Siracusa, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catania, hanno documentato che da maggio 2015 sino al 2017 tra Pachino e Portopalo era operativa una associazione mafiosa denominata clan Giuliano, capeggiata dal boss Salvatore, che a forza di intimidazioni sarebbe stato in grado di condizionare le attività economiche della zona, traendone indebiti vantaggi. Il catalogo di attività illecite spazia dalle estorsioni, al traffico di sostanze stupefacenti, alla commissione di furti ad abitazioni ed aziende agricole.
L’indagine si è incentrata sulla figura di Salvatore Giuliano e sugli uomini di sua stretta fiducia: Giuseppe Vizzini e i fratelli Giuseppe, Giovanni e Claudio Aprile (tutti gravemente indiziati del reato di associazione di tipo mafioso per la loro appartenenza al clan) e sulla progressiva ascesa del gruppo a vero e proprio sodalizio mafioso in grado di acquisire il monopolio nella produzione e nello smistamento dei prodotti ortofrutticoli coltivati nelle numerose serre presenti in quei territori. Salvatore Giuliano è, infatti, considerato l’indiscusso boss della zona, cui tutti devono rivolgersi per poter svolgere le proprie attività nei territori sotto il suo controllo.
Grazie ai legami vantati con il clan Cappello e al patto di non belligeranza siglato con la consorteria rivale dei Trigila, Giuliano si era quindi assicurato lo spazio operativo per dominare incontrastato nei territori di Pachino.
In questo quadro, nel gennaio 2016, a Pachino viene danneggiamento con incendio, aggravato dall’utilizzo del metodo mafioso, ai danni della Dusty s.r.l., azienda che aveva l’appalto del servizio di igiene urbana nel comune di Pachino.
La principale fonte di guadagno del gruppo era rappresentata dal condizionamento del ricco e fiorente mercato ortofrutticolo. Anche per ottenere questo risultato, il sodalizio mafioso aveva dato vita a un’attività imprenditoriale, “La Fenice s.r.l.” (finita oggi sotto sequestro, ndr), le cui quote sociali risultano formalmente ripartite al 50% tra Gabriele Giuliano, figlio di Salvatore, e Simone Vizzini, figlio di Giuseppe. Nel magazzino di Pachino si tenevano le riunioni e gli incontri con gli esponenti di altri clan.
Come emerso dalle numerose conversazioni registrate nel corso dell’indagine, la titolarità delle quote sociali a Gabriele Giuliano e Simone Vizzini era meramente apparente e finalizzata a lasciare in mano al vero dominus, Salvatore Giuliano, la gestione dell’attività di accaparramento del mercato ortofrutticolo.
Per tale ragione Salvatore Giuliano, il figlio e Simone Vizzini risultano gravemente indiziati di trasferimento fraudolento di valori, aggravato dal fine di agevolare l’associazione mafiosa. La “Fenice” non avrebbe operato secondo le regole del libero mercato, bensì ricorrendo a forme di pressione intimidatoria sugli operatori del settore. Fine ultimo di quella strategia era di costringere i produttori a versare il loro raccolto nei magazzini della “Fenice” in modo da ottenere il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo dell’attività di mediazione per la successiva vendita della merce agli operatori della grande distribuzione. Allo stesso modo, anche i commercianti che intendevano acquistare i prodotti coltivati nelle serre di Pachino, per immetterli successivamente nel mercato finale, dovevano trattare con Giuliano e il suo gruppo.
Grazie a questo collaudato meccanismo, gli indagati avrebbero preteso il pagamento di una somma di denaro, la cosiddetta “provvigione”, calcolata in percentuale del raccolto prodotto e ceduto agli operatori della piccola e grande distribuzione, che costituiva il corrispettivo per la presunta attività di mediazione contrattuale svolta tra produttori e commercianti.
Un ruolo decisivo, in questa fase era svolto dai fratelli Giuseppe, Giovanni e Claudio Aprile, ritenuti dagli investigatori il braccio armato di Giuliano. A loro il boss sarebbe stato solito rivolgersi quando era necessario incutere timore e far sentire la pressione del clan agli operatori del settore. In alcuni episodi, che hanno visto come vittime i produttori ortofrutticoli di Noto e Rosolini, sarebbe emersa la concorrente partecipazione di Giuseppe Crispino, referente del “clan” facente capo ad Antonio Trigila.
Ma le attività illecite del sodalizio non si limitavano al condizionamento del mercato ortofrutticolo. La capacità di penetrazione era tale da colpire anche le altre principali attività economiche della zona. Anche il settore dei parcheggi a pagamento, situati a ridosso delle zone balneari, era sotto l’influenza del clan. E in tale settore un ruolo determinante era svolto proprio dai fratelli Aprile.
E’ stata, inoltre, contestata a Salvatore Giuliano e Claudio Aprile l’estorsione perpetrata ai danni del titolare di un lido balneare stagionale, costretto a versare al clan una somma di denaro in cambio di un presunto servizio di “guardianìa” svolto in suo favore.
Secondo quanto emerso nel corso dell’attività, inoltre, i fratelli Claudio, Giuseppe e Giovanni Aprile, avvalendosi della complicità di Rosario Agosta, Vincenzo Gugliotta, Giuseppe Di Salvo, Antonino Cannarella e Sergio Arangio si sarebbero occupati della commissione di furti di macchinari agricoli (trattori e mezzi per la lavorazione della terra) che venivano asportati alle aziende agricole nei territori di Noto, Rosolini e Palazzolo Acreide.
Riconosciuta dagli investigatori pure l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti composta da Salvatore Cannavò, Massimo Caccamo e Antonio Arangio che, grazie all’avallo ottenuto dal boss, facevano giungere a Pachino ingenti quantitativi di cocaina per immetterli sul mercato.
Infine, ancora Salvatore Giuliano e l’assistente capo della Polizia di Pachino Nunzio Agatino Lorenzo Scalisi sono gravemente indiziati del tentativo di estorsione, aggravato dal metodo mafioso, posto in essere in danno dei proprietari di un’abitazione condotta in locazione dallo stesso poliziotto. In particolare, il boss con tanto di minaccia, consistita nel presentarsi personalmente dietro richiesta e accordo con il poliziotto, aveva prospettato anche larvatamente pericoli per l’incolumità personale o ai beni delle persone offese, al fine di costringerli a non pretendere il corrispettivo di almeno tre canoni di locazione a loro dovuti dallo Scalisi.




Siracusa. Operazione "Araba Fenice": 19 arresti, estorsioni e furti per condizionare il mercato ortofrutticolo locale

Dalle prime luci dell’alba, la Polizia di Siracusa sta eseguendo 19 ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip del Tribunale di Catania. E’ l’operazione “Araba Fenice”. Gli arrestati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, furti in abitazioni ed aziende agricole.
L’attività di indagine, condotta dalla Squadra Mobile di Siracusa, con l’ausilio dei poliziotti dell’analogo ufficio investigativo di Catania, ha consentito di accertare come nei territori della zona sud della provincia aretusea fosse operativo di un gruppo delinquenziale che, grazie alla forza di intimidazione esercitata dai suoi appartenenti, aveva monopolizzato e condizionato l’intero mercato ortofrutticolo della zona.
I poliziotti hanno anche riscontrato una serie di attività illecite (estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, furti in abitazioni e aziende agricole).




Siracusa. Sbarco di migranti a Fontane Bianche, arrestati 3 scafisti. I 33 iracheni condotti in centri di accoglienza

Tre uomini di nazionalità ucraina sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sarebbero gli scafisti dell’imbarcazione che ieri ha portato sulla spiaggia di Fontane Bianche 33 migranti di nazionalità irachena. La Guardia di Finanza, con un pattugliatore, li ha rintracciati al largo. Erano ancora a bordo della stessa barca a vela, battente bandiera americana.
Secondo quanto ricostruito, l’imbarcazione era salpata 6 giorni fa da un porto in Turchia con a bordo 33 persone provenienti dall’Iraq. Gli scafisti avrebbero poi fatto sbarcare i migranti sulla spiaggia siracusana. Sono stati accompagnati al porto di Augusta per le procedure di identificazione e ospitati nei centri di accoglienza.
L’imbarcazione, custodita a Marzamemi, è stata posto sotto sequestro dalla Procura di Siracusa.