Fallimento Sai 8: l'ex curatore, Giovanni La Croce accusa i vecchi colleghi. "Fallimento nel fallimento"
E in questa nuova giornata calda sul fronte “acqua” e le problematiche collegate – non ultima quella occupazione – irrompe sulla scena Giovanni La Croce, ex curatore della fallita Sai 8. “Sull’esercizio provvisorio, avevo previsto tutto”, fa sapere dal suo studio di Milano il noto professionista che il 5 febbraio ha rassegnato le sue dimissioni dalla carica di componente del collegio dei curatori del fallimento Sai8. “In aperto dissenso con le strategie dei miei colleghi”, ci tiene a precisare La Croce. Che spiega anche il motivo. “Innanzitutto perchè per me era chiaro da subito che non si sarebbe potuto procedere all’affitto e alla vendita dell’azienda Sai8 senza il consenso dei legittimi proprietari degli impianti , ossia dei Comuni. E visti i rapporti tra gli enti e Sai 8 era facile ritenere che sarebbe stato difficile ottenere il loro consenso, se non con la minaccia dell’immediata riconsegna degli impianti che io volevo fare già a gennaio”. Una iniziativa che illustrò anche in conferenza stampa. “Dai miei colleghi mi divideva anche il fatto che si addossavano senza alcuna speranza di recupero le rilevanti perdite che l’esercizio provvisorio determinava sulle spalle dei creditori. Oltre al che senza un braccio di ferro da fare allora con i Comuni, evidenziando alla pubblica opinione la posizione abusiva di chi aveva chiesto
da un lato la riconsegna giudiziale degli impianti e dall’altro si rifiutava di prenderli concretamente in consegna, non si sarebbe potuto negoziare alcuna forma di tutela dell’ingente credito che Sai8 avrebbe vantato verso l’utenza al momento della riconsegna. Infatti, perdendo la gestione degli impianti, Sai8 avrebbe perso anche il controllo, che aveva tramite la leva del distacco, della gestione dell’incasso dei crediti”.
Senza voler apparire facile profeta, La Croce evidenzia però come “alla fine tutto ciò che avevo preventivato si è puntualmente verificato. I Comuni si sono organizzati anche tramite una legge regionale ad hoc e hanno bloccato il tentativo del fallimento di affittare a terzi l’azienda, non aderendo alle richieste di Aqualia, soggetto individuato dai miei ex colleghi come miglior offerente. Il fallimento ha quindi contabilizzato non meno di un paio di milioni di perdite gestionali che nessuno gli rimborserà. Costretto a riconsegnare gli impianti ha perso, definitivamente e senza la stipulazione di un accordo a riguardo, la leva di controllo sull’incasso
dei crediti”.
Per Giovanni La Croce si può allora parlare di “fallimento nel fallimento”. Poteva essere evitato? “Forse si. O almeno si poteva ridurre l’impatto in termini di perdite da consuntivare, solo se si fosse dato credito a chi aveva alle spalle, come il sottoscritto, 40 anni di professione, tutta sul fronte della gestione attiva delle imprese in crisi. A questo punto a pagare il conto saranno chiamati ancora una volta i creditori, già fortemente incisi dalla gestione pregressa. Ma è giusto che i creditori sappiano di avere titolo per richiedere di essere risarciti da coloro che hanno per faciloneria e eccesso di protagonismo, fatto scelte che il sottoscritto aveva denunciato con
dovizia di argomentazioni essere scelte perdenti”.