La crisi Lukoil apre il dibattito sul futuro di Siracusa: "riconvertire la zona industriale"
La paura di una crisi irreversibile della zona industriale si è materializzata dopo la presentazione del piano Isab-Lukoil per il 2021: richiesta di prodotti raffinati in calo e allora diventa necessario far ricorso alla cassa integrazione, con alcuni impianti che non ripartiranno.
“Quello che si sta prospettando potrebbe rappresentare la realizzazione del sogno di ogni ambientalista, ma così non è!”, dice uno dei nomi storici dell’ambientalismo siracusano, Peppe Patti. “Il comprendere che l’abbandono delle fonti fossili deve coincidere con un cambio sistemico, con una programmazione, con il non lasciare indietro nessuno, con l’attuazione di un Green New Deal sono concetti alla base dei principi dettati anche dall’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco. Ripensare il territorio industriale di Siracusa deve essere un punto fermo dell’agenda del Recovery Fund. Non vorrei che i miei concittadini impegnati nel comparto industriale subissero nei prossimi mesi una crisi che metterà a dura prova la tenuta sociale ed economica”, spiega Patti, a lungo guida de I Verdi e nome forte delll’ambientalismo in decine di battaglie per il territorio, insieme al Wwf. “Superata la crisi del Covid subiremo la crisi dei licenziamenti”, è la fosca previsione.
Ma da quali basi ripensare il futuro della zona industriale? E come rendere possibile una costosissima transizione energetica? La risposta di Peppe Patti punta all’Europa. “Il 27 maggio scorso la Commissione europea aveva parlato di una distribuzione di finanziamenti green annui per 470 miliardi, così suddivisi: 30 per le rinnovabili, 190 per l’efficienza energetica, 120 per la mobilità sostenibile, 77 per altre misure per il clima e l’ambiente e 53 per l’economia circolare e la gestione delle risorse. Usare le risorse date dall’Europa quasi esclusivamente per decarbonizzare il nostro paese non rappresenta un freno alla crescita né produce disoccupazione. Al contrario, se l’Italia spendesse l’80% dei fondi del Recovery Fund per investimenti in decarbonizzazione, il Pil aumenterebbe del 30% entro il 2030 e il tasso di occupazione calerebbe all’11%, con forte beneficio per i giovani”.
Dalla teoria alla pratica, però, il passo non sembra così automatico. Secondo ultimi studi dell’Unione Petrolifera Italiana, ancora per alcuni decenni i combustibili fossili “alimenteranno” il mondo in maniera prioritaria. E affiorano anche timide preoccupazioni dei sindacati sul numero di effettivi occupati che un nuovo “ordine” produttivo potrebbe garantire nel siracusano. Non è un mistero che i cambiamenti a queste latitudini richiedano ere mentre il resto del mondo va veloce. E in tutto questo, affiora anche una volta la mancanza di una progettazione chiara da parte della classe dirigente. Il futuro della provincia di Siracusa è oggi un ripetersi di vecchi clichè. Mancano le voci che guardano al futuro e non solo come un modo di coniugare i verbi.