Mafia a Siracusa, la Dia lancia l’allarme: “pandemia occasione per accrescere infiltrazioni”
La Dia lancia ha lanciato l’allarme nella sua relazione semestrale dedicata all’analisi dei movimenti della criminalità organizzata. Nel siracusano potrebbe proseguire “l’espansione sul territorio dell’influenza dei sodalizi mafiosi delle province limitrofe, in particolare da parte di cosa nostra catanese e soprattutto nell’area di Pachino e Portopalo di Capo Passero”, avvisano dalla Direzione Investigativa Antimafia. Non solo, la crisi legata alla pandemia rischia di rivelarsi prezioso alleato delle consorterie mafiose: “è ipotizzabile il tentativo di accrescere l’infiltrazione del tessuto economico-produttivo dell’area, cogliendo l’occasione di approfittare della crisi di liquidità di molti imprenditori originata dalle misure di contenimento rese necessarie dalla pandemia”.
In provincia di Siracusa, si legge nella relazione semestrale della Dia, “il panorama delle organizzazioni criminali non mostra sostanziali mutamenti delle strutture, degli assetti e delle aree di incidenza”. Nonostante non siano mancati arresti di esponenti di primo piano ed azioni di contrasto da parte delle forze dell’ordine, “l’operatività delle consorterie non può dirsi sopita”. Resta forte l’influenza di cosa nostra catanese. Il territorio aretuseo, è caratterizzato dalla presenza di due macro-gruppi di riferimento. “Nel quadrante nord di Siracusa risulta presente il gruppo Santa Panagia, che costituisce una frangia cittadina della ramificata compagine Nardo-Aparo-Trigila collegata alla famiglia Santapaola Ercolano di cosa nostra catanese”. Nel capoluogo attivo anche il sodalizio dei Bottato-Attanasio “legato al clan Cappello di Catania e molto attivo nelle estorsioni e nello spaccio di droghe che risulta essere la principale fonte di guadagno per tutte le consorterie”. I vertici delle organizzazioni criminali, spiega la Dia, si sarebbero spartiti il territorio per gestire in autonomia le piazze di spaccio rifornite prevalentemente dai sodalizi mafiosi etnei. Le conferme investigative sono poi arrivate con le operazioni Demetra e Varenne della seconda parte del 2020. Il Questore di Siracusa, Gabriella Ioppolo, ha spiegato che “…i contatti tra i gruppi siracusani e i sodalizi mafiosi etnei appaiono finalizzati prevalentemente al settore del narcotraffico e vedono nella quasi totalità dei casi i siracusani nelle vesti di acquirenti all’ingrosso della droga che viene immessa sul mercato locale tramite le citate piazze di spaccio”.
La zona nord della provincia di Siracusa (Lentini, Carlentini e Augusta) “risulta ancora sotto l’influenza della famiglia Nardo”. La zona sud (Noto, Pachino, Avola, Rosolini) “appare da tempo sotto il controllo del clan Trigila”.
La Dia si sofferma anche sulla frazione di Cassibile dove “risulta attivo il sodalizio dei Linguanti, articolazione dei Trigila, mentre i territori di Pachino e Portopalo di Capo Passero vedrebbero l’egemonia del clan Giuliano del quale sono stati accertati, in passate attività d’indagine, radicati legami con i Cappello di Catania”.
Floridia, Solarino e Sortino risentono invece “dell’influenza criminale della famiglia Aparo. Recenti indagini hanno disvelato la rinnovata operatività di tale sodalizio, grazie ad alcuni affiliati storici tornati in libertà e attivi sul territorio di riferimento nei settori delle estorsioni, dell’usura e degli stupefacenti”.
Allargando l’analisi al contesto siciliano, “coesistono organizzazioni criminali eterogenee e non solo di tipo mafioso. Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento è egemone cosa nostra. (…) Nella parte orientale della Sicilia sono inoltre presenti ulteriori gruppi e clan mafiosi di minori dimensioni e con interessi circoscritti in un ambito territoriale limitato ma che si mostrano tuttavia pervasivi nell’area d’influenza di riferimento e operativamente spregiudicati”. La Dia ben focalizza gli interessi “intorno ai quali si concentra l’azione mafiosa” nella nostra regione: estorsioni, dell’usura, narcotraffico, gestione dello spaccio di stupefacenti, infiltrazione nel gioco d’azzardo illecito e del controllo di quello illegale. “A questi si aggiungono l’inquinamento dell’economia dei territori di riferimento soprattutto nei campi imprenditoriali dell’edilizia, del movimento terra e dell’approvvigionamento degli inerti, dello smaltimento dei rifiuti, della gestione dei servizi cimiteriali e dei trasporti. Non mancano poi gli inserimenti nei settori caratterizzati dall’erogazione di contributi pubblici come nel caso della produzione di energia da fonti rinnovabili, dell’agricoltura e dell’allevamento. Spesso ciò si realizza attraverso l’infiltrazione o il condizionamento degli Enti locali anche avvalendosi della complicità di politici e funzionari corrotti”.