Omicidio Leone: conoscevano la donna, conoscevano la casa. Il criminologo: uccisa senza pietà
Gli investigatori torneranno nell’appartamento di piazza della Repubblica nel fine settimana. Un nuovo sopralluogo, altri riscontri e forse qualche nuovo dettaglio da verificare. E questo in attesa di confrontare i primi, eventuali sospetti con i risultati dei rilievi effettuati dai Ris di Messina e dall’unità Crimini Violenti del Ros di Rom, al lavoro peraltro anche per tracciare il “profilo” dell’assassino o degli assassini. Al momento, il fatto certo è la data dell’omicidio: sarebbe avvenuto nella mattina di domenica 30 marzo. Da qui si comincia per ogni tentativo di ricostruzione di quanto avvenuto al sesto piano di quel signorile stabile. Sarebbe stata la vittima, Elvira Leone, ad aprire la porta. Niente effrazione, con ogni probabilità conosceva quella figura o quelle figure comparse nello spioncino. Persona riservata, non avrebbe aperto a chiunque. Lo hanno confermato agli inquirenti le amiche della sfortunata insegnante in pensione. Poi succede qualcosa per cui quella che con ogni probabilità doveva essere una rapina sfocia in un barbaro omicidio.
Abbiamo chiesto un parere all’esperto in criminologia Gianni Murè, psicologo e psicoterapeuta consulente di parte in alcuni casi giudiziari degli ultimi anni. “E’ plausibile pensare che conoscessero la loro vittima ma soprattutto che conoscessero la casa. Sapevano cosa c’era dentro e dove trovarlo”, esordisce. Una eventualità che sarebbe confermata anche dalle modalità con cui è stato consumato l’omicidio. “Il sacchetto in plastica calato sulla testa della donna potrebbe essere letto come una forma di riverenza e rispetto. Come dire che chi ha materialmente commesso il delitto non ha voluto guardare la fine della sua vittima, perchè persona a lui nota. Non è raro in criminologia un simile modus operandi, con l’assassino che si piazza alle spalle e copre il volto della persona da eliminare per non dover vedere direttamente cosa sta facendo”, spiega ancora Murè. Uccidere Elvira Leone non sarebbe stato però nei piani di chi è entrato all’opera in quell’appartamento. “Sulla base degli elementi disponibili, è verosimile. Volevano rubare. Sapevano che c’era qualcosa da rubare. Ma non trasformarsi in assassini. Forse la donna si è rifiutata di consegnare denaro e preziosi, di aprire la cassaforte, magari ha reagito. Cosa che avrebbe spiazzato i rapinatori. Che potrebbero essersi innervositi sino all’epilogo finale. Con quel filo elettrico stretto con forza al collo perchè devono fare in fretta e non possono agire diversamente”, ipotizza l’esperto in criminologia Gianni Murè. Omicidio senza “pietas” quindi. Opera, e anche questa è solo un’ipotesi, non di professionisti. “Potrebbe essere. In questo caso potrebbero aver commesso degli errori, seminando indizi che non saranno sfuggiti agli esperti investigatori”.
Ma chi ha ucciso Elvira Leone? “Non posso certo rispondere io. Basandomi sull’esperienza e sui miei studi, potrei spingermi a ritenere che si sia trattato di persone estranee al nucleo familiare ma non alla signora”. Che conoscevano la casa. Domestici? Pare che si servisse di questo tipo di servizi ma non aveva del personale fisso. Sarebbero stati diversi nell’ultimo periodo. Ed è una delle piste seguite dagli investigatori, che si stanno muovendo a tutto tondo senza lasciare niente indietro.