Riconvertire il petrolchimico, il futuro passa dallo status di area di crisi industriale complessa
Non proprio l’ultima spiaggia, ma di certo l’unica mossa possibile oggi per tentare di arrestare il declino dell’area industriale siracusana ed agganciare il treno della transizione energetica. Presentato il dossier per avviare l’iter di riconoscimento dello status di area di crisi industriale complessa. L’assessore regionale Mimmo Turano, insieme al presidente Nello Musumeci, ha illustrato il lavoro della Regione questa mattina, nel salone di rappresentanza della Camera di Commercio. Presenti deputati nazionali e regionali, il presidente di Confindustria Siracusa, Diego Bivona, con i vice Claudio Geraci e Rosario Pistori, rappresentanti delle aziende della zona industriale ed i sindaci interessati in quanti finiti dentro la perimetrazione dell’area.
Lo status di area di crisi industriale complessa garantisce l’accesso a risorse straordinarie per investimenti, con l’occasione del Pnrr, sulla spinta della riconversione e riqualificazione industriale. Il protocollo d’intesa dovrà essere presentato al Mise, per il riconoscimento di situazione di crisi industriale complessa. L’istruttoria verrà svolta dalla direzione generale per la politica industriale e la competitività del Mise e, con esito positivo, arriva il riconoscimento di area di crisi industriale complessa. Un gruppo di coordinamento e controllo si occuperà, quindi, della realizzazione del progetto di riconversione e riqualificazione con interlocuzioni con aziende e amministrazioni interessate.
Non tutti i 21 comuni sono stati inclusi nella perimetrazione dell’area che assicura investimenti e agevolazioni. I tre centri della zona nord – Lentini, Carlentini e Francofonte – rumoreggiano e mostrano il loro malcontento. La Regione assicura che approfondirà il caso.
Oggi nella zona industriale di Siracusa operano circa 7.500 addetti, 3.000 diretti e circa 4.500 dell’indotto. Il personale operativo è altamente specializzato con diffusa esperienza professionale di saldatori, meccanici, tubisti, valvolisti, elettrotecnici e sistemisti.
Gli elementi di crisi sono rappresentati dall’elevato costo delle materie prime, dal costo dell’energia, quello del lavoro ma soprattutto il “prezzo” della Co2. L imprese che operano nell’UE pagano in base alle emissioni dei cicli produttivi. Un costo variabile oggi stimato attorno a circa 60 euro per tonnellata (erano 26 euro nel 2019).
Per intraprendere la strada della sostenibilità, si parla di investimenti pari ad oltre 3 miliari di euro. Progetti per avviare un progetto di decarbonizzazione produttiva affiancato da un miglioramento dell’efficienza energetica mediante la sostituzione progressiva delle fonti fossili con materie prime rinnovabili o a minor impatto. Questo scenario di transizione sarebbe più rapido e agevole con il riconoscimento dell’area di crisi industriale complessa. Si attiverebbero, infatti, risorse pubbliche dedicate, necessarie ad abbattere i costi di investimento delle imprese.
Cosa succederebbe senza quel riconoscimento? Si rischia di “minare la continuità aziendale delle singole imprese e, quindi, dell’intero polo”, si legge nella nota predisposta dalla Regione. Uno scenario “drammatico” considerando che la zona industriale siracusana “vale” l’8,16% del pil regionale.