Siracusa. Le offese su Facebook alla memoria di Stefano: vince la rabbia dei siracusani
Migliaia di commenti, ma anche migliaia di offese all’indirizzo del 40enne di Settimo Torinese denunciato per diffamazione aggravata da finalità di odio razziale dalla Procura di Siracusa. Ha offeso pesantemente la memoria di Stefano Pulvirenti e, attraverso lui, tutti i cittadini del Sud, i “terroni” , nei confronti dei quali ha espresso tutto il suo (immotivato) odio. A condurre le indagini penali, il procuratore della Repubblica di Siracusa, Francesco Paolo Giordano, e il sostituto, Antonio Nicastro. In campo anche gli investigatori specializzati del Nucleo Investigativo Telematico. Mandato chiaro: identificate l’autore delle offese, lanciate attraverso un fake, che hanno ferito la sensibilità dell’intera comunità siracusana, la cui risposta, però, purtroppo è stata all’insegna della violenza, sulla stessa scia, insomma, tracciata dall’operaio piemontese. Inqualificabile, senza dubbio, il suo comportamento. Ma ha vinto, ed è una sconfitta, la rabbia, su Facebook e l’espressione dei peggiori sentimenti di cui l’uomo possa essere capace. Per questo l’Associazione familiari e vittime della strada ha sentito la necessità di fare una puntualizzazione e di lanciare un appello , anche a nome dei familiari di Stefano Pulvirenti. Poche righe, in cui l’associazione, guidata da Mirella Abela, esprime apprezzamento per il lavoro svolto dalla Procura e dal Nit, che ha oscurato e sequestrato il profilo Fb utilizzato dal quarantenne adesso denunciato, così come i ringraziamenti nei confronti di quanti hanno lavorato alle indagini. L’appello è invece indirizzato a tutti gli utenti del social “affinché non accompagnino le legittime notizie pubblicate su questa vicenda utilizzando forme di violenza verbale”. Perché non serve a fare giustizia. Serve, piuttosto, a percorrere la peggiore strada possibile, quella della rabbia, legittima, ma che andrebbe poi indirizzata su canali differenti, quelli che servono per costruire o, meglio ancora, per isolare chi si rende responsabile di azioni ignobili, prima ancora che di reati.