Zona industriale, mobilitazione della Fiom: i metalmeccanici incrociano le braccia
Inizia con una mobilitazione il 2025 per i metalmeccanici siracusani. La Fiom Cgil di Siracusa, guidata dal segretario Antonio Recano, ha indetto per il 13 gennaio una giornata di sciopero per “richiamare l’attenzione sui gravi problemi che affliggono l’area industriale e per riconquistare il contratto nazionale con la consapevolezza che solo con l’unità e la partecipazione si possono ottenere risultati tangibili per la tutela del lavoro, dello sviluppo e dell’occupazione”. La disamina di Recano lascia poco spazio all’ottimismo.
“Nonostante la propaganda del Governo fatta di impegni e rassicurazioni, nel silenzio
complice e servile della politica e di Confindustria- le sue due parole- la realtà a Priolo si mostra in tutta la sua tragica rappresentazione”.Il segretario della Fiom non ha dubbi.
“Eni -prosegue dismette di fatto la Chimica di Base annunciando un Piano di Trasformazione che prevede la chiusura dei cracking di Priolo e Brindisi insieme agli impianti di Polietilene di Ragusa, ma a Priolo il problema non è rappresentato solo dalla fuga di Eni, lo stop all’impianto Etilene in combinato disposto con la spegnimento di impianti strategici in ISAB e SASOL, la mancata risoluzione della vicenda IAS e l’assenza di un chiaro piano di riconversione, preannuncia una progressiva deindustrializzazione e con pesanti ripercussioni occupazionali e sociali”.
Recano ricorda che per i metalmeccanici, “in un settore dove il 40% circa dei lavoratori ha un contratto a tempo determinato- puntualizza l’esponente della Cgil- l’emergenza è un fatto conclamato, appare come una tempesta perfetta che colpisce un territorio vulnerabile e manda un segnale politico inequivocabile: Siracusa, Ragusa e 15 mila lavoratori sono stati lasciati al proprio destino. Le aziende del Petrolchimico in questi anni hanno avuto mano libera nello sfruttamento degli operai e del territorio, inquinando e comprimendo attraverso il ricatto occupazionale i diritti dei lavoratori, ma le multinazionali non hanno patria, governano sulla base dei loro interessi, sfruttano i territori e si disfano degli operai quando non servono più. Oggi impianti fermi e contratti a tempo determinato non rinnovati sono l’evidenza di una crisi occupazionale in evoluzione”.