Aboubakr e il giro nudo a Cassibile, l'accusa: "dov'erano i sedicenti angeli dei migranti?"
“Un ragazzo africano con problemi psichici”. Così il mediatore culturale Ramzi Harrabi definisce Aboubakr, autore di quella passeggiata senza abiti a Cassibile che ha dato il via ad un acceso confronto su migrazione e integrazione.
Gli abitanti della frazione siracusana hanno mostrato la loro stanchezza verso una situazione ibrida che crea ed ha creato spiacevoli situazioni. E queste hanno finito per pesare sulla bilancia della solita pacifica convivenza. I cassibilesi hanno mostrato il loro malcontento facendo ricorso al più democratico degli strumenti: la possibilità di scendere in piazza. A scanso di equivoci, anche l’assessore alle politiche di integrazione, Rita Gentile, ha chiaramente detto che “a Cassibile il razzismo non c’entra nulla”.
Semmai anni e anni di sottovalutazione (minimizzazione) di un fenomeno sociale comunque impattante, in una comunità ristretta, presentano ora il conto. Se proprio l’indice va puntato verso qualcuno, è bene che si cerchi fuori da Cassibile e nelle stanze dei “palazzi” dove giacciono segnalazioni e richieste di intervento – da una parte e dall’altra – forse impilate in colonne alte decine di centimentri.
Ramzi Harrabi è critico nei confronti del sistema dell’accoglienza, e anche questa volta non nasconde la sua sorpresa. Intanto per la rabbia sociale (o forse sarebbe meglio dire social) esplosa tutto attorno alla baraccopoli. “E’ scattata una guerra mediatica fra chi si sente invaso e chi con l’immigrazione fa soldi e curriculum, senza mai considerare o interpellare i diretti interessati”, dice.
In effetti, a Cassibile il clima è sereno. Se qualcuno la immagina come una cittadina dove è in corso una caccia all’immigrato, rimarrebbe deluso dallo scoprire come la realtà quotidiana sia completamente diversa. Qui chiedono soltanto che ci sia ordine sociale e decoro, senza colori di pelle o di politica.
Qualcuno si prende pensiero anche per Aboubakr. “Come sta u niuru cca si fici a passiata nuro?”, si domandano su di un marciapiede poco distante dalla chiesa. E’ ricoverato in ospedale, dopo il Tso. Forse finirà in un centro, il papà lo vorrebbe a casa, in Guinea Bissau. “Aboubakr è in Italia regolarmente. E’ arrivato dalla Libia con un barcone ed è stato subito inserito in un centro gestito da una cooperativa”, racconta Harrabi con il solito disincanto verso un sistema di accoglienza che non lo hai mai convinto totalmente. “Poi lo hanno dismesso, gli hanno detto di affrontare una vita da solo che lui non era in grado di affrontare. Il ragazzo era fragile e il sistema dell’accoglienza non gli ha mai restaurato l’ anima. Era solo un numero, una spesa da rimborsare forse. Non una persona davvero da aiutare”, attacca Harrabi.
“E’ padre di due bambini e sta male da un bel pò. Era aiutato soltanto dai suoi fratelli nella baraccopoli, nessuna associazione o ente lo ha aiutato. E parlo di quelli che si professano angeli che aiutano i migranti. Dov’erano quando dalla baraccopoli chiedevano aiuto per lui? Dov’erano quando Aboubakr ha bruciato, settimane fa, la moschea della baraccopoli? Lui era in tilt. Lo sapevano tutti. Ma nessuno lo ha aiutato”. E forse questo è uno dei punti su cui bisognerebbe interrogarsi davvero. E dovrebbero farlo i partigiani di una o dell’altra schiera di pensiero.
“Ho chiamato il papà di Aboubakr. Al telefono mi ha supplicato di rimandargli il figlio indietro. Ha una famiglia, dei bambini che lo aspettano. E qui in Italia si è bruciato dentro. Voi avete visto un ragazzo nudo, io ho visto una realtà cruda”.