Petrolio russo e paure per Isab: l’esempio della Bulgaria, mentre il governo Draghi nicchia
Si decide a Roma, al tavolo del governo, il destino della zona industriale di Siracusa. E mentre il territorio assiste in silenzio e senza dare l’impressione di capire cosa significherebbe la chiusura di Isab sotto l’embargo al petrolio russo, dal Ministero dello Sviluppo Economico non arrivano segnali concreti. Tutte le ultime note diffuse dalle agenzie parlando di “azione allo studio per tutelare un polo di raffinazione così importante per il Paese” ma appena si tratta di scendere nel dettaglio, torna attuale l’attendismo tipico della politica italiana. Ad esempio, “prima di parlare di nazionalizzazione però bisogna capire come evolverà la situazione”, oppure “è importante rendere possibile il proseguimento dell’attività”.
Draghi, che ben conosce la situazione, sembra più interessato alle scelte degli Usa a cui supinamente accodarsi. Nel frattempo, però, chi vive la stessa situazione di incertezza in Europa, si è già mosso concretamente per difendere gli interessi nazionali. Prendiamo ad esempio la Bulgaria. A Burgas – a 390 chilometri dalla capitale Sofia – c’è una grande raffineria Lukoil che condivide gli stessi problemi di Isab ed il petrolio russo come unica fonte di approvvigionamento. Bene, proprio per tutelare gli occupati e la produzione energetica, il governo bulgaro ha chiesto una deroga specifica all’embargo per quella raffineria. Perchè – come Isab – può lavorare solo grezzi Lukoil. Burgas è la più grande raffineria di petrolio dei Balcani e la più grande impresa industriale in Bulgaria.
Viene naturale chiedersi perchè la Bulgaria abbia assunto una simile posizione mentre l’Italia si mostra timida e rischia di giocare sulla pelle degli oltre 8.000 occupati di Priolo?