Motopesca attaccato dai libici, il racconto: “Ho avuto paura di morire. Mai più per mare”

 Motopesca attaccato dai libici, il racconto: “Ho avuto paura di morire. Mai più per mare”

“Abbiamo avuto paura di morire. Io non tornerò più a bordo di un peschereccio. A mare solo per fare il bagno. Non si può rischiare la vita per cercare di guadagnare qualche euro”. A parlare è Marco Pugliara, uno dei siracusani a bordo del motopesca Orizzonte, attaccato nei giorni scorsi da una motovedetta libica in acque internazionali. Insieme ai compagni di disavventura, ha raccontato per cinque ore ai magistrati che stanno indagando sull’episodio cosa è accaduto in mare.
“Abbiamo visto questa motovedetta con scritte in arabo che si avvicinava. Quando erano a circa cento metri di distanza, hanno iniziato a sparare”. Raffiche ad altezza uomo, con i segni evidenti sulla barca mostrati in un video. “Abbiamo avuto paura. Ci siamo nascosti di sotto, in coperta. Se un proiettile ci avesse centrato, oggi non saremmo qui a raccontarlo…”, ripete Marco, 48 anni.
Per venti minuti i libici avrebbero sparato all’indirizzo dell’Orizzonte che, con il comandante, tentava disperate manovre per tirarsi fuori d’impaccio. “Poi hanno colpito il tubo del timone e così non potevamo più governare la barca. A quel punto si sono avvicinati e sono saliti a bordo”.
Fucili spianati, urla, spintoni. I libici legano l’equipaggio, controllano i cellulari per verificare che nessuno abbia ripreso la scena. Fanno razzia di attrezzatura tecnologica a bordo, facile da vendere sul mercato nero. Tra l’equipaggio c’è un tunisino che prova a tradurre in italiano ai compagni cosa stanno urlando quegli uomini armati. Per tutta risposta, lo colpiscono alla schiena con il calcio di un fucile. Ha riportato una prognosi di 25 giorni.
Erano militari libici quelli saliti a bordo? “Non credo proprio. Erano in tre ed erano vestiti in modo diverso uno dall’altro. Chi in ciabatte, chi con le scarpe da ginnastica. In magliettina e canotta, nessuna divisa”.
Una testimonianza che, quindi, pare accreditare l’ipotesi dell’atto di pirateria in acque internazionali. I libici si sono fatti consegnare i soldi a bordo, 200kg di pesce spada, l’attrezzatura satellitare, il computer. Prima di andare via, hanno slegato un componente dell’equipaggio che ha provveduto a liberare gli altri, mentre la barca nordafricana si allontanava.
“Eravamo scossi, spaventati. Abbiamo davvero temuto di morire, altro che sequestro. Per fortuna, il nostro capitano è riuscito a dare l’allarme e con il supporto del nostro armatore da Siracusa, si è messa in moto la macchina dei soccorsi”, racconta ancora Marco. In novanta minuti, un elicottero della Marina Militare ha raggiunto l’Orizzonte alla deriva. “Quella presenza costante ci ha rassicurato. Durante l’intera mattinata ci hanno tenuto sott’occhio, per evitare altre disavventure. Siamo riusciti a stabilire un contatto. Poi nel tardo pomeriggio sono arrivati anche i militari italiani a bordo. Non appena abbiamo scorto la sagoma di una nave della Marina Militare ci siamo finalmente sentiti in salvo”, prosegue il marittimo siracusano.
Le riparazioni, il viaggio di ritorno verso il Porto Grande. Poi la testimonianza nella notte in Capitaneria, fino alle 5 di ieri mattina. Solo dopo, il ritorno casa e l’abbraccio con i familiari.
L’armatore, Nino Moscuzza, non nasconde la disperazione. I danni ammontano a 30mila euro, secondo una prima stima. L’Orizzonte, al momento, è sotto sequestro. Un atto dovuto, per permettere alla Scientifica di compiere tutti gli accertamenti del caso. “Ma io non ho più un equipaggio. Hanno paura, non vogliono tornare per mare e rischiare la vita. Il comandate è in ospedale per accertamenti, aveva già un affanno al cuore. E poi ci sono i danni, le attrezzature perdute. Come facciamo a lavorare?”, si domanda tra un appello e l’altro, anche alla Regione che – con il presidente Schifani – aveva mostrato attenzione sulle sorti dell’equipaggio del motopesca.

 

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